img01_bronte_etnaimg05_pistacchio2

LA CITTA'

REAL COLLEGIO CAPIZZI

LA STORIA

Il complesso monumentale del Real Collegio Capizzi (convitto e scuole), iniziato il 1° Maggio del 1774 ed inaugurato il 12 Ottobre del 1778, è frutto dell’iniziativa e della perseveranza del­l’umile sacerdote brontese Eustachio Ignazio Capizzi che, durante i quattordici anni trascorsi nella diocesi di Monreale, maturò una straordinaria esperienza di fondazione e di costruzione di collegi. Ignazio Capizzi avvertiva il movimento di studi e il fervore culturale che si manifestava nella prima metà del Settecento anche in Sicilia. Ma avvertiva altresì, per averlo sperimentato personalmente, che di tale fervore, vivissimo in altri centri dell’Isola, Bronte era condannata a non ricevere neppure gli echi più lontani. Lui stesso era stato costretto a lasciare il suo paese natale per darsi un'istruzione. Il paese era privo di scuole; l’analfabetismo dominava incontrastato tra il popolo di Bronte (all’epoca ancora proprietà feudale dell’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo), ed agli studi potevano accedere solo clero e nobiltà.
Da qui il disegno generoso di dotare il suo paese di un’istituzione che consentisse ai brontesi di affinarsi e di crescere culturalmente e, a ben ragione, ritenuta la più impor­tante gloria cittadina, che pone Bronte, almeno negli ultimi due secoli, in posizione di sicura preminenza sugli altri centri della Sicilia.
Per oltre venti lunghi anni Ignazio Capizzi lavorò tenacemente alla realizzazione di questo suo sogno. Già nel 1760, 14 anni prima della posa della prima pietra, manifestava questo desiderio al dotto e magnanimo mons. Testa, rappresentandogli la fertilità degl’ingegni brontesi, il disagio, i costi ed i pericoli del lungo cammino (quattro giornate di viaggio) per andare a studiare a Monreale; ma non ebbe che lunghe e vaghe promesse: «Trattai chiaramente col sacro prelato -scriveva l'8 Aprile 1760 a Basilio Domenico Sinetra suo amico - per l’affare dell’oratorio e scuole in Bronte e mi ha risposto che per adesso non può, trovandosi abbastanza carico di debiti, alli quali è obbligato per giustizia, sicchè ci bisogna aspettare il tempo opportuno se forse N. S. G. C. vorrà appresso aggraziarci.»
L'umile sacerdote lavorò per oltre un decennio per realizzare il suo sogno, affrontò e superò grandi difficoltà e ostracismi ma la sua tenacia, il suo entusiasmo e la sua preparazione erano solidi: iniziata la costruzione (maggio 1774) il maestoso Collegio fu portato a termine in pochissimo tempo, poco più di quattro anni (ottobre 1778). Il 25 giugno 1771, in una lettera al sac. Sinatra di Bronte, Ignazio Capizzi stabilisce il luogo dove costruire le scuole: al quartiere di S. Rocco nel centro dell'abitato.
Due anni dopo, nel 1773, vengono comprati per 80 onze il terreno ed un gruppo di case di proprietà del medico Rosario Stancanelli e, su sua iniziativa, è inviato a Bronte da Palermo il Sac. Salvatore Marvuglia, architetto del Comune di Palermo, per visionare il luogo dove doveva sorgere l’Istituto e disegnarne la struttura.
Chiamato il capomastro legnaiuolo Giuseppe Lupo, consegnatogli il disegno, si pose mano all’opera. L'edificio doveva, secondo il disegno del Capizzi, compartirsi «in tre ordini formanti un quadrato con grande atrio in centro e con appartamenti diversi in ciascuno dei quattro lati per ognuno degli ordini.»
Il sessantacinquenne Ignazio Capizzi nella primavera del 1774 ritorna a Bronte, accom­pagnato dal suo amico ed amministratore sac. Lanza e da quattro confratelli. Alloggiato nel convento dei Cappuccini, apri una solenne missione nella Chiesa Matrice. «La sua parola, - scrive Vincenzo Schilirò ne "Il venerabile Ignazio Capizzi" - tutta fuoco e zelo, scosse le coscienze e allentò i cordoni delle borse. Questa volta, insieme coi problemi dell’eternità, il buon servo del Signore agitava e caldeggiava i diritti dell’intelligenza e la causa di un popolo dimenticato».
«Finalmente - continua - il primo di maggio 1774, quando si aprono al sole le rose e le speranze, Ignazio, macilento e canuto, a capo d’una folla festosa e fiduciosa, si reca al posto dell’erigendo collegio, e li si carica sulle spalle la prima pietra, che va a collocare nel fosso delle fondamenta; poi la benedice e la mura. Dinanzi a quel suo gesto di umiltà, ecco accendersi l’entusiasmo del popolo tutto, che fa a gara per trasportare e appron­tare materiali da fabbrica; e tanti ne accumula, che bastano ai muratori per un mese di lavoro. Intuivano confusamente anche i modesti figli della terra che da quelle pietre benedette si sarebbe sprigionata la "luce intellettual piena d’amore" di cui il loro santo parlava con tanto fuoco, e di cui si sarebbero avvantaggiati un numero sterminato di giovani siciliani.»
Ignazio ritornò al suo apostolato di Palermo, dopo aver affidato al barone Vincenzo Meli e al sacerdote Placido Minissale la cura e la vigilanza dei lavori.
Pochi mesi dopo, il 22 Luglio, inviava, tramite il marchese Tanucci, primo ministro e consigliere di S. M., una supplica al "Real Sovrano" domandando che «su gl'introiti della Mensa Arcivescovile di Monreale si facesse un congruo assegnamento in pro della sua Patria Bronte, acciò si potessero in essa stabilire le pubbliche scuole» e «per abilitare quei poveri abitanti di Bronte suoi paesani e vassalli sfortunati di S. M., alla coltura delle scienze non solo, che de' costumi.».
Dalla sua residenza in Palermo e personalmente, con visite annuali, egli intanto dirigeva i lavori dell'edificio.
Pur tra mille difficoltà, i lavori procedettero alacremente e in poco tempo risultarono già portati a compimento il piano terra, il refettorio, la cucina ed il primo piano.
Già nell’aprile del 1777 molte camere erano finite ma le opere proseguirono fino al 1778, quando il 15 ottobre (quattro anni dopo la posa della prima pietra), finalmente avvenne la solenne apertura della scuola.
La realizzazione dell'opera non fu facile: Ignazio Capizzi affrontò e superò moltissimi impedimenti, ironie, ostracismi, contrasti e calunnie d’ogni genere; elemosinò le risorse necessarie in ogni luogo.
Alla fine ebbe l’appoggio di tutti. "Molti signori di Palermo, - scrive G. De Luca nella sua Storia della città di Bronte - di lui amantissimi, gli diedero vistose somme, ... " i facol­tosi di Bronte e di paesi vicini contribuirono tutti generosamente alla fabbrica. I preti, i nobili, tutto il popolo, trasportava, essendone convocato, pietre ed ogni altro materiale sulle proprie spalle".
Il 7 settembre 1777 Ferdinando III Re delle due Sicilie, accogliendo la supplica del Capizzi di quattro anni prima, concedeva 200 onze annue in perpetuo a spese della Mensa Arcive­scovile di Monreale e decretava che l’erezione delle scuole pubbliche di Bronte dovesse comprendere cinque scuole: di aritmetica, di grammatica inferiore e superiore, di filosofia e teologia.
Nel mese di Settembre dello stesso anno erano pronte le stanze per le scuole, il refet­torio, la cucina ed il primo piano per i convittori ed i superiori.
Ignazio Capizzi, approfittando della sua esperienza di educatore scrisse anche le "Re­go­le" per il suo Istituto: ne disciplinò gli studi, l'elezione del direttore, gli stipendi degli insegnanti, i doveri e gli obblighi dei maestri, dei convittori e degli studenti.
Il 14 Aprile 1778 il Vicerè approvata le Regole per il governo delle Scuole Pubbliche nella Città di Bronte per istruzione della gioventù e dava al Capizzi la facoltà di eleggere i primi deputati ed amministratori.
Con atto in notaio Abbadessa, Ignazio Capizzi  nomina i primi superiori del Collegio: Rettore il sac. Placido Minissale, "visitatori" l'arc. Placido Dinaro, il Vicario foraneo sac. Benedetto Verso e il confessore del monastero di Santa Scolastica; "deputati" i sac. G. Piccino e Pietro Uccellatore, il barone Vincenzo Meli e D. Carlo Stancanelli; "razionale" D. F. Galvagno.
Il 15 ottobre 1778 (quattro anni dopo la posa della prima pietra), finalmente avviene lasolenne apertura della scuola, presenti 37 collegiali, provenienti da Bronte, Cesarò, Castell'Umberto, Biancavilla, Nicosia, Patti, Centuripe, Pettineo, Randazzo, Mascali, Troina, Regalbuto, Roccella, Francavilla e, addirittura 10 da Gangi. La retta era di onze 14,25 l'anno.
Nel 1781 il Presidente del Regno, D. Antonio Cortada, approva i regolamenti del Collegio redatti dallo stesso sac. Capizzi.
Il primo bilancio 1778-79 si chiuse con un passivo di onze 108, anticipate dal primo rettore Placido Minissale (totale entrate onze 585, uscite 693).
Il Collegio non possedeva beni immobili, ma molti benefattori brontesi continuavano a dare contributi in natura (pecore, frumento, ecc.).
L'anno successivo, 1779-80, i convittori furono 55, provenienti anche da Maletto, Sperlinga, Alcara, Castiglione, e il Municipio di Bronte intervenne in aiuto concedendo lo "scasciato" a 15 collegiali.
Nel 1781 il Presidente del Regno, D. Antonio Cortada, approva i regolamenti del Collegio redatti dal suo fondatore. La deputazione è composta dal direttore del Collegio sac. dr. Mariano Scafiti e da 4 deputati: uno nobile, il barone Giuseppe Meli; uno ecclesiastico, il sac. G. Uccellatore; uno legale, il dr. G. Magaglio e il quarto borghese, Nunzio Scafiti, in realtà rappresentanti i ceti cittadini. Il Collegio diventa, quindi, patrimonio del popolo, che tutti si impegnano a salvaguardare e potenziare.
«Non c'è dubbio - scrive Salvatore Cucinotta (“Sicilia e Siciliani – Dalle riforme borbo­niche al “Rivolgimento” piemontese” – Edizioni Siciliane, Messina, 1996) - che il p. Capizzi, non potendo garantire la sua presenza a Bronte, sapendo di che tempra sono i Brontesi, era tranquillo che affidando la sua creatura a tutto il popolo, menti sagaci e disinteressate l'avrebbero fatta crescere e prosperare. Come di fatto si verificò. D'altra parte tutti sono coscienti che ne va di mezzo il fiore all'occhiello di Bronte, la sua gloria storica, motivo di celebrità dovunque.»
Si operava, ovviamente, in mezzo alle difficoltà iniziali comuni a qualsiasi attività («mi ha bisognato correre col vento per fare il dovuto cammino», scriveva il venerabile il 23 Apri­le 1781 al Direttore D. Mariano Scafiti), anche perché molti generi necessari alla vita del Collegio si compravano altrove: pasta a Giarre; fagioli a Mascali; noci, nocciole, casta­gne a Randazzo; formaggio e caciocavallo a Francavilla; vino a Linguaglossa e Piedimonte, ecc..
I deputati alla gestione decidono anche di prendere terre in affitto per allevarvi in conto proprio vitelli, pecore e castrati (vennero presi in affitto una chiusa e terreno a pascolo in contrada Malaga, con salario al pastore di onze 6 l’anno).
Intanto i convittori aumentarono: nel 1780-81, tre anni dopo l'apertura, sono 63 , pro­venienti, in particolare dai Nebrodi, Ucria, Ficarra, Militello, Cerami; 66 nel 1781-82 provenienti anche da Castelbuono, Capizzi, Mirto, Sperlinga, Galati Mamertino, Barcellona Pozzo di Gotto, Tortorici, Raccuia, Mistretta, Valguarnera, S. Salvatore di Fitalia, Caprileone, S. Marco, Caronia, Tusa.
Due anni dopo, nel 1783, Ignazio Capizzi moriva a Palermo nel convento dell’Olivella, dove viveva.
L'umile sacerdote ben poche volte ritornò a Bronte dopo l'inaugurazione del Collegio, sicuro com'era di averlo affidato ad uomini e sacerdoti brontesi, non solo capaci, onesti e istruiti, ma profondamente impegnati con tutte le loro energie alla sua fioritura.
Dopo appena vent'anni, nel 1796-97, i convittori raggiungono il ragguardevole numero di 195.
La biblioteca fu rifornita di altri libri e la cappella interna di arredi sacri. Furono costruiti pure un piccolo teatrino, andato successivamente perduto, ed altre aule per la scuola e per i dormitori. Ai convittori, oltre il catechismo e la messa giornaliera, non venivano suggerite altre pratiche religiose.
Regole ferree ed analitiche disposizioni regolavano la vita del collegiale. L'inizio delle lezioni era fissato al 15 ottobre e il termine al 31 agosto; vacanza il giovedì pomeriggio e dal 1 settembre al 14 ottobre.
Il Collegio doveva sostenere notevoli spese per il vitto dei convittori: Tutti i generi venivano comprati in luoghi anche lontani nel periodo della raccolta, spesso inviando in loco mediatori per farne incetta. Immaginabile la lunga colonna di muli, che si snodava attraverso le regie trazzere fin nei lontani paesi dei Nebrodi. Il che comportava, altresì, l'approntamento a Bronte di locali idonei a questi usi.
In una parola diventò in poco tempo fonte di lavoro non solo per gli addetti interni (in certi
periodi il personale di servizio superò le trenta unità, oltre al personale insegnante e dirigente) ma nell'indotto per un gran numero di lavoratori, ai quali era assicurato un lavoro sicuro e tranquillità economica. Produsse a Bronte un benessere mai visto fino allora.
Dal 1805 al 1807 fu costruita la quarta ala del Collegio. I lavori riprendono dopo la parentesi del 1820-21 con la spesa di onze 238 per la costruzione del cortile.
Il 1 novembre 1846 viene iniziata la nuova cappella con la spesa di onze 314 incluso il contributo di tarì 12 l'anno chiesto ad ogni collegiale.
L'immediata affermazione del Collegio (nel giro di 20 anni i 37 convittori iniziali del 1778 passarono a 195 nel 1797) fu anche dovuto alla capacità del personale direttivo di camminare, in campo scolastico, al passo coi tempi, aggiornando e aumentando le materie di insegnamento, ossia superando i vecchi schemi scolastici così usuali, all'epoca, nei collegi dei Gesuiti.
Si inizia nel 1778, come da decreto di Re Ferdinando, con le classi di leggere e scrivere, umanità e retorica.
Nel 1782-83 la retorica viene separata dall'umanità e stabiliti due distinti professori.
Nel 1808 le materie d'insegnamento diventano dieci: leggere e scrivere, 2a classe, 4a minore e 4a maggiore, umanità, retorica, filosofia, teologia, alle quali nel 1810 si aggiunge il "canto fermo".
Il 20 febbraio del 1818 un devastante terremoto colpì il versante di nord-ovest dell'Etna. Il vul­canologo Carlo Gemmellaro scrive di «gran tremuoto», iniziato il 18 che si protrasse per diversi giorni con 24 violente scosse. Il Real Collegio subì gravissimi danni con caduta di calcinacci e distac­camento parziale delle pareti verticali nel piano abitato dagli alunni, nei dormitori e nei corridoi. Un preventivo redatto a marzo dello stesso anno dall'architetto catanese Carlo Pulejo quantificò i danni in onze 311 (centoundici in più della dotazione annuale concessa quaranta anni prima, il 18 aprile 1778, ad Ignazio Capizzi dal re Ferdinando III).
Nel 1837, il Collegio assunse il titolo di "Real Collegio Borbonico"; fu introdotto il metodo "normale", e la classe, di leggere e scrivere assume il nome di "scuola dei piccoli"; fu aggiunto l'insegnamento della lingua italiana, mentre la teologia venne divisa in dogmatica e morale.
Nel 1850 iniziò lo studio della letteratura italiana, eloquenza, geografia, lingua francese. Quattro anni dopo il diritto ecclesiastico, matematica, calligrafia e, nel 1864, la fisica.
Nel 1852, riferisce la relazione statistica, essendo direttore mons. Biuso, vi erano 12 piazze franche, e vi insegnavano 19 sacerdoti.
Certo, gli avvenimenti, che in quel periodo sconvolsero l'Italia e l'Europa e la donazione fatta da Ferdinando IV nel 1799 del territorio brontese all'ammiraglio Horatio Nelson, influirono negativa­mente sulla vita del Collegio: le condizioni del popolo brontese peggiorarono e il Comune si dissan­guò in una serie continua di cause nei tribunali per difendere i propri diritti, con accen­tuazione delle contrapposizioni interne tra ceto borghese e popolo contadino, che culminarono nei fatti del 1848 e del 1860.
Come non guardare oggi in controluce la Ducea di Nelson e il Collegio: di là l'esclusivo interesse economico, a volte vessatorio ed oppressivo, di qua la bandiera della cultura e dell'elevazione sociale del popolo, irradiate fino in lontane Terre.
Con l'unità d'Italia, l'accentramento dello Stato è anche causa di crisi del Collegio. Nel 1863-64 i convittori scendono a 134 e la retta sale a onze 24, nel 1883 l'Istituto raggiunge il minimo di 50 collegiali anche se pochi anni prima, il 22 novembre 1867, l'Istituto aveva ottenuto il pareggia­mento del suo ginnasio.
Contro il rischio di veder diminuito il numero dei convittori il Collegio venne dotato di scuole tec­niche (non se ne fece poi nulla) e gli alunni smisero di vestire la talare sostituendola con una divisa militare alla marinara.
Anche le risorse economiche scarseggiano ed il Comune fa fatica a concedere finanziamenti. Il1883 fu anno di vera crisi e non soltanto di natura finanziaria. Il Collegio vedeva appannarsi la sua prestigiosa immagine e rischiava la chiusura.
Quell’anno gli studenti che lo frequentavano supera­rono di poco il numero di 50. La Sicilia vedeva aumentare di anno in anno il numero delle scuole pubbliche, altri istituti nascevano e le famiglie non sentivano più il bisogno di mandare a Bronte i loro figlioli.
Nello stesso anno 1883, con l'introduzione della illuminazione a petrolio, furono messi nei corridoi, nel refettorio e nelle camerate 62 fanali di cristallo e viene perfezionato l'ultimo quarto del Collegio con la spese di onze 226.
Il 27 settembre di quell'anno si fecero grandi feste per ricordare il primo centenario della morte del fondatore ma nemmeno la solenne celebrazione conseguì gli effetti che si speravano: una più vasta conoscenza dell'Istituto.
Benedetto Radice nelle sue Memorie storiche di Bronte scrive di «archi di trionfo a verdura, fiori e drappi antichi sciorinati su per balconi e finestre, trasparenti con varii episodi della vita del Capizzi, inaugurazione di un suo busto di marmo, bande musicali, canti, baldorie, illuminazione, fuochi d’artificio, tennero il paese in festa. Era l’apoteosi del venerabile Ignazio Capizzi. Non mancò la solita accademia, ove in molte favelle fu data la stura a versi e a prose.»
In una molteplicità di interventi, scritti in versi ed in prosa ed in parecchie lingue (intervennero anche il p. Gesualdo De Luca e Francesco Cimbali, il discorso commemorativo fu tenuto da Enrico Cimbali tornato appositamente da Roma.
«Ma, conclude il Radice - finita la festa gabbato il Santo. Ci voleva altro che accademie! Il Collegio andava mancando d’inanizione. I convittori erano andati giù a 50.»
Quali furono i motivi della decadenza? Nel 1883 il frate cappuccino Gesualdo De Luca, professore in quel Collegio, nella sua Storia della Città di Bronte cercò di darne una risposta:
«1° La trasformazione d’Italia, scuole pubbliche in ogni comune ed ogni borgata, e la legge militare. 2° Il caro dei viveri. 3° L’aumento gravissimo della retta, cioè del danaro da pagarsi pel vitto dei giovani, e la tassa scolastica.
In primo si pagava la miserabile somma di lire duecentoventinove e centesimi cinquanta l’anno pel vitto abbondantissimo, dopo il 1870 fu elevata a più di lire seicento in tutto.
4° La decadenza dell’antica rigorosa disciplina morale, che tanto era gradita ai cattolicissimi ed agli onesti padri di famiglia;
5° in fine il troppo piegarsi di qualcuno al nuovo tempo dettando per modelli di comporre temi rivoluzionarii, come per esempio, l’assalto di Palermo, un giovane sulle patrie mura, le tirannia del Governo Borbonico, e peggiori.»
Vere o non vere queste cause, la crisi del Collegio sembrava irreversibile, gli alunni diminuivano di anno in anno con grande preoccupazione dei brontesi.
«A interessare i cittadini,  - continua il Radice - nel giugno o luglio seguente, fu fatta una grande radunata di tutte le teste quadre del paese e d’ogni ceto e condizione sociale per trovare in combutta uno specifico che ridesse la vita al gran moribondo.»
«Si fecero molte parole, - continua con un pizzico d'ironia - si fece anche qualche battibecco che mise in subbuglio la colta assemblea e mandò a monte ogni cosa.
«Allora su proposta di un illuminato consigliere del Comune, nella seduta del 29 ottobre 1885, visto e considerato che il Collegio non valeva più nulla, e che non c’era via di farlo assurgere al suo primo splendore, il Consiglio deliberò di disfarsene, cedendo fabbricato, direzione, amministrazione nonchè le stoviglie e gli attrezzi di cucina, con casseruole, padelle ecc. (dice la sapiente deliberazione) ad una Corporazione religiosa qualsiasi coll’obbligo di elevarlo a liceo infra 5 anni, scorso il quale termine inutilmente si facessero le pratiche col governo; ma pare che la commissione deputata a ciò non ne avesse allora trovata alcuna che volesse venire a Bronte a far lo stufatino ed il cibreo; e al solito il liceo rimase nella deliberazione del Comune. Che gente praticona e ammodo! Meno male che il beato Ignazio vegliava l’opera sua dall’alto dei cieli!»
Nella speranza di una sua rinascita e che i figli di Don Bosco potessero rimettere in auge il vecchio Istituto, nel 1892, il Collegio viene affidato ai Salesiani rimasti fino al 1914 (quando si dimisero).
Nello stesso anno il rettore sac. Giuseppe Prestianni (uno dei due benemeriti fondatori del nostroOspedale civico) faceva restaurare e completare l’edificio.
Il Collegio fu rinnovato negli interni e nelle strutture esterne, anche mediante modifiche al progetto originario del fondatore e dell'architetto palermitano Marvuglia. Con la speranza di far risorgere a nuova vita l'Istituto fu rifatta tutta la pavimentazione "a cemento" e sostituite le scale "primordiali" di pietra lavica e di mattoni con il marmo; sorsero ampie aule scolastiche, vasti dormitori.
La chiesa del Sacro Cuore, progettata dall’ing. Caselli e classicamente decorata dall'artista Sciuto Patti, eretta al posto della chiesa S. Rocco, resta l'opera che conclude nel modo più degno l'attivo rettorato del Prestianni. Contro il parere di Caselli che voleva ricomporre l’unità architettonica del Collegio, fu eretta anche una nuova costruzione ad uso di botteghe e case da affittare addossate al monumentale edificio. L’antico prospetto fu così stravolto e, scrisse il nostro Benedetto Radice, «sottomettendo il bello all’utile, la speculazione uccise l’estetica».
Sotto il rettorato del sac. Vincenzo Portaro (dal 1916 al 1936) il Collegio Capizzi riprese a crescere con un graduale aumento del numero dei convittori che vi affluivano da tutti gli angoli della Sicilia e della Calabria: nell'anno scolastico 1916-17 gli alunni interni furono 130, l'anno successivo 138 fino a superare nel 1920-21 il numero di 200.
La scelta di nominare il Portaro, già professore di latino e greco al Regio Liceo Cutelli di Catania, a Rettore del Capizzi apparve subito avveduta e felice. «Dal 1916 al 1936 – scrive A. Corsaro - il Portaro si distingue per intelligenza, pieno senso del dovere e ineccepibile correttezza. Egli fa nascere il liceo classico pareggiato, si adopera a restaurare il prospetto dell'Istituto, migliora il complesso di attrezzature destinate agli apparecchi igienici, pensa a un Polisportivo». E, aggiungiamo noi, dopo oltre 150 anni dalla fondazione, apre il portone del Real Collegio Capizzi anche alle ragazze brontesi e non.
Fra le altre iniziative tese a dar nuova linfa al secolare Istituto, nel 1924, il Rettore dotò il Convitto di un ottimo e completo Gabi­netto di fisica (la spesa fu di circa 20 mila lire) che affiancò a quello di Scienze naturali e Chimica.
Un decreto del 24 Marzo 1926 pareggiava il liceo dell'lstituto ai licei statali: «... a decorrere dal 1° ottobre 1925, il liceo classico mantenuto dal R. Collegio "Capizzi" di Bronte è pareggiato, per il valore legale degli studi che vi compiono, ai corrispondenti istituti regi.»
"In corrispondenza alle direttive Nazionali" venne anche iniziata la costruzione del "Colleggetto", la casa di villeggiatura estiva e polisportivo dei convittori del Collegio inaugurato il 26 Maggio 1929 in occasione dei solenni festeggiamenti organizzati dal Rettore Portaro per il III cinquantenario del Collegio.
Il Real Collegio Capizzi vedeva però in lontananza il proprio declino e si cercava in tutti i modi di farlo rinascere a nuova vita anche perché in Sicilia molti altri istituti scolastici nascevano e le famiglie non sentivano più il bisogno di mandare a Bronte i loro figlioli sostenendo notevoli spese.
In quegli anni la retta per l'anno scolastico (1 settembre - 30 Giugno) era di Lire 3.000 (1.000 in più del 1921), una somma notevole che poche privilegiate famiglie potevano permettersi.
Oltre bisognava corrispondere 100 lire (una tantum) per diritto di ammissione, altre 100 annue per «uso di mobilia (lettiera in ferro,e rete metallica, colonnetta, tavolino da studio, due sedie e servi­zio da tavola) per visite ordinarie del medico, per servizio d'infermeria, del parrucchiere; e L. 15 mensili per bucato».
Le spese per libri, vestiario, tasse scolastiche, visite mediche straordinarie, medicine, vitto spe­ciale, ecc., erano sempre a carico del convittore e venivano conteggiate a fine anno «purchè la famiglia abbia lasciato fin da principio un deposito di L. 300, integrato o rimborsato a seconda dell'ammontare delle spese».
Ed il Collegio ovviamente viveva con alterne fortune: il numero dei convittori (che ovviamente determinava anche l'economia e le sorti dell'Istituto ed anche di Bronte) scese nell'anno 1936-37 ad appena 40, per risalire 1939-41, con il rettore Anselmo Di Bella, a 135 convittori ed oltre 300 alunni.
Nel Settembre del 1936, ultimo anno del rettorato di V. Portaro, la direzione del Capizzi fu affidata ai Fratelli Maristi (la Congregazione dei Piccoli Fratelli di Maria) che lasciarono il Collegio dopo pochi anni.
Dopo la costruzione dell’acquedotto brontese, nel 1940, il Collegio fu dotato di un "modernissimo impianto di bagni e docce" e d'«impianto di riscaldamento a termosifone» in tutte la aule, nella sala da studio e nel refettorio.
In quegli anni l'Istituto fu "oggetto di desiderio" anche da parte del Vaticano che intendeva trasformarlo in Seminario.
Così scrive, infatti, il rettore Di Bella nel 1947:
«(…) E faccio noto ora, poichè sono tirato in causa, quanto allora restò, per discrezione, fra i muri del Collegio, che per la decisione forte ed energica mia e del Consiglio di amministrazione, il Collegio sostenne la sua indipendenza di fronte alla Sacra Congregazione dei Seminari, che ne pretendeva la dipendenza, in forza del Trattato di Conciliazione.
«Due grossi memoriali furono in quella circostanza presentati alla Sacra Congregazione, due volte mi recai a Roma a trattare la questione e a sostenere i diritti del Collegio davanti allo stesso Segretario della Sacra Congregazione, card. Ruffini, e il pericolo provocato, forse e senza forse, da nostri concittadini, allora fu scongiurato; ma avverto i brontesi, che quella cenere potrebbe un giorno essere rimossa.»
(Il Ciclope, anno II, n. 2 (14) del 19 Gennaio 1947)

Pochi anni dopo, nel luglio del 1943, il Capizzi, in quel periodo requisito dall'autorità militare etrasformato in «ospedale militare di riserva n. 2», venne parzialmente danneggiato dai disastrosi bombardamenti degli alleati e in un angolo fatto saltare dai tedeschi con le mine.
Si deve all'impegno ventennale - dal 1946 al 1966 - del nuovo rettore, il sac. Giuseppe Calannae del suo vice, padre Giuseppe Zingale, l'opera di risanamento e di rinnovamento.
Il suo rettorato, che è proseguito fino a pochi anni fà, quando per le mutate condizioni socio-culturali vennero chiuse la scuola ed il convitto d'istruzione e d'educazione, rappresenta più di un quarto della lunga e fascinosa storia del Collegio.
Ben presto i convittori dai trenta del periodo bellico (51 nel 1945, 90 nel 1946 e 119 un anno dopo) passarono a 160.
Furono ricostruite le parti danneggiate dai bombardamenti, ristrutturati nuovi locali interni, rinnovati i dormitori, la palestra, le cucine, i servizi igienici, rammodernati il refettorio e le aule scolastiche.
Ed infine il Rettore Calanna ed il suo vice, padre Zingale, portarono finalmente a compimento un antico desiderio di tutti i brontesi: la traslazione, a 211 anni dalla morte, dei resti mortali del ven. Ignazio Capizzi da Palermo a Bronte nel suo Collegio, dove riposano dal 17 Aprile 1994.
Il Capizzi fu edificato dal popolo con il contributo dei sovrani Borboni ("Populus aedificavit, Rex dotavit", si legge ancora su una lapide posta sul frontone del Collegio). Per questo dall’iniziale nome di Casa di Educazione si chiamò Collegio Borbonico.
Successivamente, nel 1848, su iniziativa dell’abate Giuseppe Castiglione, pari del Regno, il Parla­mento siciliano lo denominò "Collegio Nazionale". Dopo l’unità d’Italia mutò ancora nome in quello di "Real Collegio Capizzi". E tale è rimasto fino ad oggi.
Grazie alla direzione illuminata di alcuni colti rettori (Giuseppe Saitta, Giacomo Biuso, Francesco Tirendi) ed all’opera di maestri quali Luigi Pareti e Vincenzo Schilirò, il Collegio divenne nei secoli il più importante centro culturale della Sicilia Orientale.
Nelle sue aule venne formata buona parte della classe dirigente siciliana per oltre due secoli.
Nel 1886, al Parlamento Italiano il Ministro Ruggero Bonghi definì il Collegio Capizzi "foro della lingua latina".
Bronte e il Meridione devono tantissimo all'umile sacerdote Ignazio Capizzi ed al Collegioche Lui volle.
Soprattutto dal '700 a tutto l'800, il Collegio Capizzi, che in quei secoli era diventato la grande fucina del Sapere siciliano, ha permesso a Bronte di diventare un paese fecondo di personaggi illustri. Ha formato una schiera di "ingegni eletti", insigni prelati, uomini sovranamente pii, filosofi, poeti latini, giuristi ed economisti, medici celebri. Ma sopratutto, per più di un secolo, fece di Bronte un potente faro di cultura.
Moltissimi i siciliani e i calabresi, che fino ai recenti anni cinquanta, studiarono e si sono formati nel Collegio Capizzi.
Tra gli altri si ricordano Arcangelo Spedalieri, Antonino, Placido e Gesualdo De Luca, i fratelli Cimbali (Enrico, Giuseppe, Eduardo), Benedetto Radice, Alessandro D’antona (da Riesi, senatore e chirurgo), Luigi Capuana (da Mineo, scrittore), Piccolo Cupani (da Mineo, procuratore generale e primo Governatore dell’Eritrea), mons. S. Nicotra (da Barcellona, auditore apostolico a Vienna), etc..
Luigi Capuana, ricordando con piacere i tre anni passati al Capizzi (dal 1851 al 1854), una sera del 1910 raccontava a Benedetto Radice che "lì, in Collegio, gli cominciò la febbre dello scrivere".
Naturalmente, nell’ultimo periodo, d’élite ed esclusiva era diventata la Scuola per il costo degli studi che equivaleva al prestigio e al tenore degli stessi.
Oggi le mutate condizioni socio-culturali hanno fatto chiudere la scuola ed il convitto d'istruzione del Collegio.
Riconosciuto il 27/4/1781, con decreto di Ferdinando IV Re di Napoli e III di Sicilia, Ente morale giuridico di istruzione e di educazione, confermato il 6/12/1864 dal Ministro della pubblica Istruzione come “Corpo morale laicale destinato all’istruzione”, pareggiato ai licei statali il 24/3/1926 con decorrenza dal 1° ottobre 1925, iscritto presso il Tribunale di Catania al n. 238 del registro delle persone giuridiche, oggi  il Real Collegio Capizzi (ente morale–laicale autonomo privato con funzione pubblica) tenta di entrare in una nuova fase operativa.
Tenta di completare la prima, tradizionale e specifica - insegnamento della dottrina e delle umane lettere -, assumendo la funzione «di centro educatore per la formazione permanente del cittadino».

 

STRUTTURA ARCHITETTONICA

L’edificio, a pianta quadrata con cortili interni, ha grandi dimensioni ed occupa l’intero perimetro di un grande isolato delimitato dalle vie Umberto, Card. De Luca, Attinà e Capizzi. Sorge nell’abitato costruito in massima parte tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo.
Le mutate volumetrie urbane hanno cambiato in parte il rapporto architettonico con le costruzioni adiacenti, senza però alterare i punti di vista e le prospettive. La visione ravvicinata, determinata dalla larghezza della sede stradale, consente ancora una lettura dettagliata della raffinata decorazione parietale. La parte più antica del complesso ha carattere monumentale ed è costruita su tre livelli di cui uno seminterrato (con una palestra ginnica, le cucine, la lavanderia e le stalle). Un bel rinfaso orizzontale di pietra lavica sottolinea la separazione dei livelli frontestrada. Il ritmo regolare delle aperture è alternato alle forme ripetitive e geometriche delle decorazioni parietali. Il coronamento in muratura (finta balaustrata) chiude la facciata in alto sopra un cornicione in aggetto.
Sulle cornici e sulle trabeazioni delle finestre e sulla fascia marcapiano sono scolpiti motivi ornamentali a bassorilievo in pietra lavica di rara finezza. Ogni finestra, inquadrata da una cornice modanata, è sormontata da una trabeazione con motivi floreali al cui centro emergono festoni con cartiglio e conchiglia di gusto barocco. Al centro degli architravi risaltano alcune figure di volti umani. Al piano seminterrato dell’edificio sono collocati i servizi; la palestra apre su uno dei grandi cortili interni; le aule scolastiche e i dormitori sono al piano terra ed al primo piano. Due cortili interni al complesso e la "villetta" determinano l’articolazione delle aule e dei corridoi.
I locali a piano terra prospettanti su via Cardinale De Luca ospitano la Pinacoteca di Bronte.

LA BIBLIOTECA

La biblioteca del Real Collegio Capizzi, organizzata come Tem­pio del Sapere, raccoglie quasi tutte le opere che costituivano la cultura umanistica del secolo XVIII.
Rimasta chiusa per oltre quarant’anni, è stata riaperta al pub­blico da alcuni decenni.
Anche questo prezioso patrimonio è opera di Ignazio Capizzi, fondatore del Collegio. Quando nel 1767, per ordine di Ferdi­nando III, i Gesuiti ven­nero cacciati dalla Sicilia, mentre tutti facevano a gara per impossessarsi dei loro beni demaniali, il Capizzi ottenne in dono numerosi volumi confiscati nelle biblio­teche palermitane della Compagnia, preziosissimo patrimonio librario, parte del quale è oggi custodito nella biblioteca del suo Collegio.
Col passare degli anni gli scaffali della biblioteca si sono arric­chiti con libri, in particolare, dell'800, fra cui nel 1847 un tomo del Cantù e, nel 1850, la Storia ecclesiastica in 12 volumi legati in 4°, comprata a Napoli.
Nel 1864, il catalogo composto dal bibliotecario, sac. Gaetano Meli, numera 7.622 volumi, posti in due stanze in scaffali di legno, tuttora esistenti.
Nel 1879 il sindaco di Bronte, Guglielmo Leotta, dona 61 volumi provenienti dai soppressi conventi dei padri Cappuccini, dei Minori Osservanti e dei Basiliani di S. Blandano.
Oggi gli scaffali, colmi di oltre 21 mila volumi, tra testi scien­tifici, letterari, filosofici e teologici, offrono preziose edizioni di grandissimo interesse rendendo una evidente testimonianza del grado di cultura raggiunto nella vita del Collegio.
Fra le opere di inestimabile valore giova citare un Aristotele del 1561, cinque grossi volumi su Aristotile pubblicati dal Didot, un raro dizionario del Calepino uscito nel 1571 dalla tipografia dei Manuzio, uno splendido atlante geografico del 1692, un trat­tato di astronomia del 1877, unaDivi­na Commedia arricchita di raffi­na­te incisioni stampata a Venezia nel 1536 ("in Vineggia per M. Bernar­dino Stagnino") con commento di Cristoforo Landino (l'insigne umanista maestro di Angelo Poliziano).
Vi si trovano anche un numero cospi­cuo di classici, latini e greci, che vanno dai Dodici Cesari di Svetonio (Lugduni, apud Joannem Frellonium, 1548), alle opere di  Senofonte (seconda edizione curata da Enrico Stefano, 1581), da quelle di Tacito e di Velleio Patercolo (edizione parigina del 1608) alle Ipotiposi Pirroniane di Sesto Empirico (edizione ginevrina del 1621, "typis ac sumptibus Petri ed Jacobi Chouet"); e ancora un Plutarco in traduzione latina del sec. XVI, un Valerio Massimo dei Venetii excudebant exemplorum libri(edizione veneziana del 1557), la Storia naturale di Plinio (Parigi, 1741) il poema di Lucrezio (edizione di 70 esemplari del 1807), Ovidio (1806), Sallustio (edizione di 50 esemplari del 1813);
lo splendido atlante geografico del 1692 ("La guida del Mercurio ouero Guida Geografica in tutte le parti del mondo", dalle stampe di Domenico de Rossi in Roma alla Pace), con incisioni a bulino di Antonio Barbey colorate a mano), «La Historia d'Italia di M. Francesco Guicciardini Gentil'huomo fiorentino», stam­pata a Venezia nel 1587; un volume del 1511 ("De Liberta­te ecclesiastica", di Joannis Lupi); un antichissimo volume in lingua orientale.
Oltre ad un archivio storico di inestimabile valore unico a Bronte, la biblioteca contiene oltre 21 mila volumi, tra libri scientifici, letterari, filosofici e teologici, con testo in greco e latino, oltre che in italiano, inglese, spagnolo, tedesco e francese.
Rende evidente l'altissimo grado di cultura raggiunto nei secoli dal Collegio fondato dal ven. Ignazio Capizzi ed il livello di formazione scolastica che vi si impartiva.
Negli scaffali è conservata anche una copia del "Teatro Italiano" di Luigi Capuana (Palermo 1879), con dedica autografa dello scrittore: "alla biblioteca del Collegio di Bronte come piccola espiazione di tutte le mie scapataggini di collegiale. Mineo, 7 Aprile 1872".
Il Capuana aveva studiato nel Collegio Capizzi negli anni 1853-54 avendo, fra gli altri, come professore padre Gesualdo De Luca.
Nel 1949 l'intera biblioteca già appartenuta agli illustri fratelli De Luca (Antonino, il cardinale e Placido, l'economista) è sta­ta regalata dai discendenti al Collegio.
Si sono così preser­va­ti pregiati volumi di arte, letteratura, storia, geografia, diritto e discipline varie di valore quasi inestimabile.
La Biblioteca è generalmente aperta tutti i giorni dalle ore nove alle tredici (n. tf. 095.691.008).
Fino a qualche anno fa responsabile della Biblioteca è stato Franco Cimbali, che dai suoi illustri antenati (tra i quali amia­mo ricordare i fratelli Enrico, Eduardo, e Giuseppe) ha preso la passione per i libri e la pignoleria e la precisione dello storico nelle sue continue ricerche d'archivio sulla storia del proprio paese.
Franco Cimbali, uno dei quattro fondatori della nostra Asso­cia­zione ed anche fra gli autori dei testi di Bronte Insie­me, è andato in pensione agli inizi del 2013.

IGNAZIO EUSTACHIO CAPIZZI

Umile sacerdote, coraggioso ed ardito, dedicò gran parte della sua vita a favore degli ammalati, dei poveri e della gioventù
Ignazio Eustachio Capizzi nacque a Bronte il 20 Settembre 1708, figlio di un pastore (Placido) e di una filandaia (Vincenza Cusmano).
Di umilissime origini, restò orfano di padre e già ad appena otto anni faceva da piccolo pastore alle pecore ed agli agnelli nella mandria dello zio.
Ad 11 anni, ancora analfabeta, iniziò i primi studi a Bronte, nell'Oratorio di S. Filippo Neri annesso alla chiesa della Catena, sotto la guida di due preti e, con estremi sacrifici, li continuò a Caltagirone prima (per tre anni) e poi a Lipari.
A diciotto anni, per proseguire gli studi di filosofia e teologia nelle isole Eolie, fece da  domestico (chierico di camera) al Vescovo di Lipari.
Trasferitosi nel 1732 a Palermo per pagarsi gli studi lavora come sguattero e da infermiere nell'Ospedale Grande e Nuovo; inizia a studiare medicina e nel 1734 abbraccia la professione medica ma il suo sogno resta il sacerdozio.
Continua quindi a Palermo gli studi religiosi e, dopo anni di stenti, di umiliazioni e di sacrifici, nel 1735 consegue la laurea in Teologia nel Collegio Massimo di Palermo; il 17 Dicembre viene ordinato diacono e, all'età di 28 anni, il 26 Maggio del 1736, raggiunge finalmente il sacerdozio.
Per dieci anni opera a Palermo nella parrocchia dell'Albergaria dedicandosi, in particolare, alle missioni nei vari quartieri della città e nei paesi di campagna.
Fu un uomo virtuoso, caritatevole, dedito alla povertà, sempre umile (nelle sue lettere amava firmarsi "l'inutilissimo sac. Ignazio Capizzi") e dal multiforme zelo apostolico.
Organizzatore infaticabile, colto predicatore e scrittore, dedicò gran parte della sua vita a favore degli ammalati e dei poveri e della gioventù incolta e senza guida per la cui elevazione sociale, morale e culturale, spese le sue energie e la sua vita.
Parecchi paesi della Sicilia e specialmente Palermo e Bronte, furono testimoni della sua feconda attività apostolica e di coraggiose ed ardite iniziative sociali quali l’edificazione di opere di pubblico vantaggio (collegi, convitti, istituti).
In pochi decenni diventa l'infaticabile apostolo di Palermo: colpito dalla rinomanza generale dei Collegi di Maria della Carità, nel 1747 vi costruisce il Collegio delle Vergini di Santa Maria del Carmine (destinato ad asilo delle "ragazze pericolanti") fungendo egli da direttore fino al 1752; un analogo Collegio costruisce a Vicari; acquista l'oratorio nella casa dei Teatini e lo restaura; dal 1759 al 1766 dirige il Collegio di Maria della Sapienza alla Magione (uno dei due Collegi di Maria sorti a Palermo), lo ingrandisce e lo restaura ampliandone i locali e riordinando le scuole; ingrandisce e migliora il Reclusorio delle ragazze annesso all'Ospedale di Palermo; organizza l'assistenza ai moribondi ed ai carcerati.
Dal 1769 abita presso i Filippini all'Olivella, dove tredici anni dopo muore e viene seppellito nella chiesa.
In quegli stessi anni nella vicina Monreale viveva un altro illustre brontese, il filosofo Nicola Speda­lieri. Altro temperamento, altro carattere ed anche altri ambienti frequentati con inte­ressi e prospettive diversi: l'umile sacerdote Capizzi viveva in mezzo ai poveri e i derelitti, inte­ressato alla predicazione, all’attività pastorale e all’azione sociale per istruire e formare i giovani; l'altro il giovane teologo ed intellettuale Nicola (nel 1769 aveva 29 anni) viveva rinchiuso nel seminario diocesano di Monreale impegnato nei suoi studi di eloquenza, scienze sacre, filosofia, pittura e musica e nell'attività di professore nel medesimo seminario.
Ci piace immaginare che durante i frequenti viaggi che il venerabile faceva a Monreale i due si siano anche potuti incontrare e parlare della lontana Bronte che avevano dovuto abbandonare per proseguire gli studi e realizzare i propri ideali.
In 45 anni di fecondo apostolato, Ignazio Capizzi lasciò ricordi di santità e di prodigi oltre che a Palermo anche a Monreale, Nicosia, Castelvetrano, Messina, Leonforte, Alimena, Resuttana, e in tanti altri centri della Sicilia.
A Palermo, a contatto con collegi e istituti scolastici, matura l'idea di fondare una scuola destinata alla formazione dei secolari ma anche dei nuovi sacerdoti nel suo paese natale, privo di scuole, dove l'analfabetismo era dominante e che era stato costretto a lasciare per darsi un'istruzione.
La sua idea, pochi anni dopo, fu di esempio per analoghe iniziative prese per l'educazione delle ragazze da donna Maria Scafiti con l'istituzione del Collegio di Maria (1780) e da Pietro Graziano Calanna con le "Regie Pubbliche Scuole delle donzelle di Bronte" (1823).
Ignazio Capizzi, povero, umile ma colto e formidabil e organizzatore, progettò questa sua idea e vi lavoro ininterrottamente con tenacia ed entusiasmo per oltre 15 anni ed alla fine, dopo la posa della prima pietra, riuscì a costruire il maestoso "Collegio Capizzi" in pochi anni.
Il 25.6.1771 stabilisce il luogo dove costruirlo, al quartiere S. Rocco nel centro dell'abitato e due anni dopo, compra il terreno. Inviato da Palermo il sac. Marvuglia, architetto del Comune, per predisporre il progetto, il 1° Maggio 1774 benedice e pone la prima pietra.
L'attività di costruzione proseguì fino al 1778  quando il 15 ottobre (quattro anni dopo la posa della prima pietra), finalmente avvenne la solenne apertura della scuola che tanta importanza e rinomanza doveva in seguito acquistare specialmente in Sicilia e nell’Italia meridionale.
Per realizzare l'opera superò ironie e moltissime difficoltà, ostracismi, contrasti  e calunnie di ogni genere ("Il sentirsi favellare di sì grandiosa opera da un Prete povero, sembrava un vaniloquio, e venne preso a beffe la prima volta."...).
Il Capizzi elemosinò le risorse necessarie in ogni luogo. «Molti signori di Palermo, di lui amantis­simi, gli diedero vistose somme, ... I facoltosi di Bronte e di paesi vicini contribuirono tutti ge­nerosamente alla fabbrica. I preti, i nobili, tutto il popolo, trasportava, essendone convo­cato, pietre ed ogni altro materiale sulle proprie spalle.» (G. De Luca, Storia della città di Bronte).
Una testimonianza del sac. Michele De Albo (Elogio del sac Ignazio Capizzi, Palermo, 1786) riportata da Benedetto Radice nelle Memorie storiche di Bronte, ci ricorda l'entusiasmo ed i sacrifici di Ignazio Capizzi e l'ammirazione dei brontesi vedendo «il buon vecchio con delle mazze in mano frangere durissimi macigni, ora con zappe cavar terra, ora entrare a parte del peso di lunghi travi, ora portar fuori cofani di calcinazzi e rottami di pietre, talvolta spazzare i corridoi inaffiandoli pria con acqua che egli stesso attingeva alla cisterna, e ciò non rade volte, anzi bene spesso dopo aver sudato nel pergamo.»
Ignazio Capizzi non si limitò alla costruzione del collegio.
Approfittando della sua lunga esperienza, con spirito acuto e pratico, scrisse anche le "Regole" per il suo Istituto. Ne disciplinò gli studi, l'elezione del direttore, gli stipendi degli insegnanti, i doveri e gli obblighi dei maestri, dei convittori e degli studenti.
Tali regole hanno governato il Collegio per circa un secolo e mezzo e l'Istituto funzionò sempre bene perché ebbe degli ottimi dirigenti, in un impegno mai venuto meno.
L'umile sacerdote ben poche volte ritornò a Bronte, sicuro com'era di avere affidato il Collegio ad uomini e sacerdoti brontesi, non solo capaci, onesti e istruiti, ma profondamente impegnati con tutte le loro energie alla sua fioritura specie nelle turbolenze politiche.
Il Collegio voluto da Ignazio Capizzi è a ben ragione ritenuta una grande gloria brontese, che pose il paese, almeno negli ultimi due secoli, in posizione di sicura preminenza sugli altri centri della Sicilia orientale (in una seduta parlamentare del 1885, Ruggero Borghi definì il Collegio "foro della lingua latina").
Ignazio Capizzi morì nel convento dell’Olivella a Palermo il 27 Settembre 1783, dove fu sepolto.
Vincenzo Schilirò nel suo libro "Il venerabile Ignazio Capizzi" (SEI, Torino 1933) ricorda l'ultimo viaggio fatto a Bronte dal venerabile alcuni mesi prima di morire:
«Ignazio sente che i suoi mesi son contati. Si affretta quindi ad andare un’ultima volta a Bronte e a portare l’estremo saluto al "suo" Colle­gio. Ora gli riesce molto penoso il viaggio in lettiga; ma egli pare insensibile a ogni sofferenza, talmente vivo è il suo desiderio di raggiungere il paese natio. Quando è finalmente in vista dei cari luoghi - i boschi, le campagne, il Simeto - così familiari alla sua fanciullezza, gli si inumidi­scono gli occhi.
Predica ancora una volta alla Chiesa Madre; ottiene grazie e guarigioni; dispensa avvertimenti e consigli ad alunni e superiori del Collegio; e poi, sereno, come chi si sia liberato d’ogni legame impacciante, si rimette in via per Palermo».
Il lungo, faticoso viaggio finisce per estenuarlo. Ritornato a Palermo «si fa portare presso le comunità per le quali ha maggiormente spese le sue fatiche, e prende da esse l’ultimo commiato. Piangono gli altri: lui no: è santamente lieto, perché cammina verso la Patria.»
Prima di morire, nel mese di agosto, spedì tutti i suoi libri di valore alla Biblioteca del Collegiocon l'espresso comandamento ch'essa fosse aperta ad utilità del pubblico.
Il 29 Luglio 1949, in considerazione delle condizioni pietose in cui era ridotta la Chiesa dell'Olivella per i bombardamenti aerei del 1943, il suo corpo, dopo una ricognizione autorizzata dal Vaticano, fu traslato e tumulato, sempre a Palermo, nella chiesa della Sapienza, annessa al collegio fondato dal Venerabile stesso.
Appena tre anni dopo la sua morte gli «ecclesiastici fratelli» della Congregazione del Fervore pubblicavano il libro con la vita e l'Elogio del sacerdote D. Ignazio Capizzi (Palermo, 1786 - Dalle stampe di D. Gaetano M.  Bentivegna) ed una incisione raffigurante il suo volto da loro definita "vera effigies".
Due secoli dopo la morte, le spoglie mortali del Capizzi sono state traslate a Bronte e dal 17 Aprile 1994 riposano nel suo Collegio, nella Chiesa del Sacro Cuore.  Il monumento funebre, posto sulla sinistra della navata, è opera dello scultore Ivo Celeschi.
Dieci anni dopo la sua morte, nel 1793, a Bronte e a Palermo, venne istruito il processo ordinario per la beatificazione dell'umile sacerdote. La documentazione, inoltrata a Roma nel 1808, fu favorevolmente accettata nel 1817 dalla Congregazione dei Riti.
Per le sue virtù teologali e il fecondo apostolato, il 26 Maggio 1858, Ignazio Capizzi fu dichia­rato Venerabile da Pio IX, che lo chiamò il San Filippo Neri della Sicilia.
Il decreto di Pio IX contiene un grande elogio delle virtù e delle opere evangeliche sostenute dal Capizzi quasi in tutte le città e borghi di Sicilia, ospedali, collegi, sodalizi, e verso ogni genere di persone e con tutti i mezzi cristiani potuti adoperare.
«Fatti i necessarii esami - scrive G. De Luca nella Storia della Città di Bronte - con molto rigore, ai 26 Maggio 1858 fu dal sommo Pio IX dato il Decreto di constare delle virtù del Ven. Ignazio Capizzi in grado eroico, all’effetto della di Lui Beatificazione.
In esso Decreto si contiene un magnifico elogio delle opere evangeliche da Lui sostenute con l’esercizio di tutte le virtù, quasi in tutte le città, borghi e castelli di Sicilia; quasi in tutti i Collegi, Spedali, Sodalizii, Asceterii di Palermo; e verso ogni genere di persone, e con tutti i mezzi cristiani potuti adoprare.»
Dopo quasi due secoli la causa della sua beatificazione è ancora in corso. Ma l'umile Ignazio Capizzi che tanto fece per la Sicilia e per Bronte non trova... Santi in Paradiso che facciano qualcosa per lui.

 
FONTE: WWW.BRONTEINSIEME.IT